Mi è sempre piaciuta la musica, fin da piccolo.
Ho una foto di me che avrò 5 o 6 anni con dei cuffioni enormi in testa, gli occhi chiusi, intento ad ascoltare chissà cosa.
Accanto a me mio padre che mi guarda e sorride.
Da lui ho preso gran parte della musica italiana ma anche del rock anni ’70, poi col tempo ho scelto la mia musica da solo, spaziando dalla classica alla disco.
Però tanto mi piace ascoltarla, tanto non sono capace a suonare: zero, nessuno strumento, a stento tengo il ritmo con il piede.
E ho sempre invidiato chi sa suonare, tipo la chitarra o il pianoforte, o anche chi mette produce musica con il pc o mette i dischi in discoteca.
Capire il pezzo giusto, coinvolgere le persone, tenerle incollate al pavimento per farle sudare e divertirsi, è quasi magia.
Sono al Bar Papà in questo momento e ci sono pochi clienti con i bambini, i papà lavorano al pc, i bambini giocano tranquilli con i lego, io li guardo e sorrido perchè questa musica che sento mi piace. Il ticchettio dei tasti, le risate regolari, i lego che cadono.
I tasti.
Le risate.
I lego.
E il suono alternato diventa ritmico.
Tasti
tasti
risate
lego
tasti
tasti
risate
lego
Fino a che non sento una musica di sottofondo che mi cattura, non riesco a smettere di muovere mani e piedi e mi ritrovo a ballare da dietro al bancone del Bar.
Poi la musica scende e apro gli occhi: davanti a me c’è un ragazzo seduto sullo sgabello che mi guarda sorridendo.
“Oddio, scusami, non so cosa mi sia preso”
“Niente tranquillo, la musica fa così”
“Si, ma io non sono esattamente il genere di ballerino che va in discoteca”
“Io invece sono il genere che la musica la mette in discoteca”
“Sei un dj” – chiedo posando il bicchiere che avevo in mano
“Dj Karmin Shiff, al tuo servizio”
Mi sorride, ha un sorriso che conquista le folle, si vede che è abituato ad avere a che fare con migliaia di persone e che deve farle felici tutte.
E’ un bel ragazzo, ha la tipica aria da dj di Ibiza, camicia aperta, capelli al vento e tanta voglia di fare.
Si apre la porta ed entra un ragazzo giovane, avrà 18 anni, cellulare in mano e cuffie nelle orecchie, c’è qualcosa di vagamente somigliante.
“Lui è il tuo assistente?” – domando per evitare figuracce.
“Mio figlio” – risponde orgoglioso, sorridendo.
“Aspetta, non mi tornano i conti. O lo hai fatto che avevi 6 anni oppure ti porti incredibilmente bene l’età.”
Questa volta ridono tutti e due e la risata è talmente in sincrono da diventare una melodia musicale.
“L’ho avuto a 18 anni, una avventura estiva, ma assolutamente voluta. Lo volevamo tutti e due, anche se eravamo giovani per capirne l’impegno e la portata. Ma quando me lo hanno detto mi si è aperto un mondo.”
Il ragazzo si avvicina al padre, gli dice qualcosa all’orecchio. Lui fa un cenno di approvazione e il ragazzo si allontana.
“Si confida tanto con me, mi racconta tutto. Anche se purtroppo non stiamo così insieme”
“Vi vedo affiatati, però”
“Si, siamo molto vicini come spirito, ma lui vive con la mamma e con i nonni, ci vediamo quando si può.”
Ad un tratto il sorriso si affievolisce e la musica che sentivo di sottofondo si fa più lenta, come quando il dj cerca di trovare l’aggancio per mettere l’altro disco e deve rallentare la traccia che sta ascoltando per avere lo stesso tempo della successiva.
Guardo Karmin e d’un tratto lo vedo stanco, vedo lentamente gli occhi farsi cerchiatie la camicia trasformarsi in una vestaglia.
“Che succede?” – gli chiedo guardandomi intorno.
Nessuno si accorge del cambiamento, o almeno così mi sembra, perchè nessuno a parte me si stupisce di quello che sta succedendo.
Lo vedo dimagrito e si appoggia al bancone perchè fa difficoltà a stare in piedi.
“Ho suonato in giro e ho vissuto la vita pienamente. Mi sono divertito, poi ad un certo punto quella vita non mi soddisfava più; ho incrementato la musica in studio, a scrivere e creare per gli altri. E poi è successo questo.”
Ora lo vedo.
Senza il filtro della musica.
“Un anno fa mi hanno diagnosticato la sclerosi multipla. Non sapevo neanche cosa fosse, pensavo si potesse curare e invece….”
Fa un lungo respiro.
“…e invece no, non c’è ancora una cura, si va per tentativi. Quando me lo hanno detto era iniziato da poco il lockdown per il covid. I primi mesi in ospiedale ero da solo, non potevo vedere nessuno, veniva mia madre a passarmi i vestiti da un cancello, come un prigioniero. E ho capito che ero prigioniero di me stesso, della mia vita e dei miei pensieri.”
Si ferma a guardare il bancone, ha il peso di una vita sulle spalle e si sente ancora più oppresso da tutto questo.
Lo guardo e gli chiedo una cosa stupida, ma è la prima che mi viene in mente.
“Hai paura?”
Incredibilmente invece di mandarmi a cagare, mi sorride con un angolo della bocca.
“Tutti avrebbero paura, combatti contro un mostro di cui conosci il nome, conosci la grandezza, ma non hai armi per sconfiggerlo. Hai la paura che tutto peggiori, di non poter fare le cose normali che facevi prima e che qualsiasi cosa semplice diventi difficile. Poi, lentamente, capisci che quello che facevi prima era un’altra vita e che ora puoi e devi fare altre cose, per andare avanti, con i tuoi tempi e il tuo ritmo”.
Sento pian piano la musica risalire dalle casse.
“Ho avuto momenti di depressione e piangevo come un bambino all’inizio, ma oggi va meglio. Va meglio in testa, perchè fisicamente è difficile tutto, ma ho la forza della mia famiglia e di mio figlio accanto.”
Si gira per guardarlo e si sorridono.
“È stato sempre il mio primo fan, lo portavo in giro per i concerti con me. Ora è lui a portarmi in giro, ma sono contento di averlo accanto”
La musica sale sempre di più e abbraccia il Bar, ci sentiamo pervasi da una felicità immotivata, come se ci fossimo drogati di note musicali.
“Questo fa la musica, ti aiuta quando non sai dove guardare, ti da una strada da seguire. Per lottare e andare avanti. Non mi sono mai fermato con la musica e ora che sono fermo a casa scrivo e compongo. Ho un progetto enorme davanti, voglio scrivere una canzone e dare tutto il ricavato alla ricerca. Perchè questo mostro deve essere sconfitto e le uniche armi sono l’amore e la scienza”
Il figlio si avvicina, prende il padre sotto braccio e li vedo ballare.
Karmin torna giovane e forte, vestito da dj, con gli occhiali da sole e il cappello, le luci del bar diventano fasci laser che si muovono al ritmo dei bassi.
Forse è questa la vera potenza della musica, farti vivere in un altro mondo, aiutarti a superare qualunque problema senza chiederti nulla in cambio.
Li vedo uscire insieme, padre e figlio, e per un attimo spero di aver incastrato anche solo per un istante il mostro nel bar, chiuso tra un 4/4 di musica e legato dalle righe di uno spartito.
Questa che avete letto è una storia vera, anche se romanzata dal nostro Bar.
La sua vera storia la trovate qui: https://www.instagram.com/karminshiff/?hl=it
Aiutatelo ad aiutare.
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