Mia moglie è sempre stata una gran lavoratrice, instancabile e sempre disponibile per la sua azienda.
Ogni volta che squillava il telefono si chiudeva in camera per ore a parlare di marketing e comunicazione, senza distinzione di sabato o domenica.
Luca era legato a tutti e due ma sicuramente passava tanto tempo con me e quando dovevo uscire anche per poco lui mi diceva sempre: “No, papà, non andare”.
Abbiamo discutto tante volte con mia moglie su questo ma alla fine le davo ragione, io ho perso il lavoro anni fa e non sono riuscito a riorganizzarmi, anche perchè a casa c’è il piccolo Luca e qualcuno doveva restare a casa con lui. Quindi ho iniziato a fare il papà in casa mentre mia moglie faceva carriera.
Ma questo stacanovismo ha portato alla nostra rovina.
Quella mattina mia moglie era andata a prendere Luca a scuola, si trovava ad uscire prima dall’ufficio e io ero a casa con un pò di febbre.
Dovevano rientrare alle 15.00.
Verso le 15.30 provo a chiamare al telefono di mia moglie ma parte la segreteria.
Alle 16.00 mi preoccupo veramente.
Esco in strada come se potessi vederli da li ma niente.
Ad un certo punto squilla il telefono, rispondo di corsa in un misto tra il preoccupato e l’incazzato.
Ma non è mia moglie.
“Pronto signor Giancarlo? E’ l’ospedale di … dovrebbe venire qui”
Non mi hanno detto altro. Chiamo un taxi, non capisco più nulla. Mille pensieri, mille paure, nessuna speranza.
Quando arrivo mi danno la notizia, mia moglie ha risposto al telefono mentre guidava e non si è accorta del camion che è spuntato da una traversa laterale.
Mi hanno detto che non hanno sentito nulla, magra consolazione questa.
Io invece ho sentito tutto, ho sentito le parole del dottore, ho sentito il peso del suo “mi dispiace”, ho sentito la vita smontarsi pezzo per pezzo.
Sono tornato a casa, mi sono sdraiato sul letto e ho dormito, vestito, immobile.
Ho passato i primi mesi in uno stato vegetativo, vedevo passare intorno a me amici e parenti ma era come se non ci fossero.
Sentivo i loro “mi dispiace” che si sommavano a quelli del dottore.
E una sera, quando tutti erano usciti, sono salito sul terrazzo e ho guardato giù.
Ho detto “mi dispiace” e stavo per fare il primo passo. Poi l’ho sentito. Ho sentito la voce di Luca che diceva: “No, papà”
Mi sono girato, non c’era nessuno, ma la voce era la sua.
Mi ha detto: “No, papà. Non andare”
L’ho preso come un segno, sono sceso e mi sono rimesso a letto; la mattina dopo mi sono lavato, vestito bene e ho iniziato a cercare un lavoro.
Dopo qualche giorno sono riuscito a trovare un posto in una officina, ho ripreso coraggio e ho ricominciato lentamente a vivere.
Sono passati 3 anni, non posso dire di stare bene, ma posso raccontare questa storia senza piangere.
Non è vero, piango ancora, ma almeno ho la forza per restare.
No, non me ne andrò, Luca.
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