La storia di Alberto
La mia paura più grande, fin da bambino, è stata quella di dimenticare le cose.
Ero ossessionato dall’idea di perdere pezzi di vita, di non ricordare attimi, persone e idee.
Forse è per questo che ho iniziato a scrivere.
Per fermare su carta la memoria che scappa.
Per non dimenticare più.
O forse perché avevo paura da piccolo di venir dimenticato sulla panchina della scuola.
E speravo che qualcuno mi scrivesse su un foglio, così da non dimenticarmi più.
Per questo da quando è nata mia figlia ho scritto ogni giorno per lei: lettere per quando sarà grande, per quando troverà l’amore e per quando lo perderà.
Ma soprattutto scrivo un diario per non perdermi i suoi piccoli passaggi di crescita, le sue prime volte che non torneranno più.
Oggi al bar c’è un bel movimento, si vede che la ricetta dei cornetti nuovi sta piacendo.
Ci metto un ingrediente segreto, tutti mi stanno chiedendo cosa ci sia.
La mia risposta è: segreto.
Anche perchè, sinceramente non me lo ricordo.
Stavo impastando ma ero distratto, ho messo qualcosa e poi l’ho scordato.
Il risultato però è sotto i miei occhi: tanta gente che famelica sta azzannando i miei cornetti fatti in casa.
Finita questa mandata, però, dovrò inventarmi qualcosa.
Non ho scritto la ricetta e ora non la ricordo.
Torna la mia paura, come se non volesse mai lasciarmi andare, come se si ricordasse costanemente di me, almeno lei.
Entra un uomo, si guarda intorno spaesato poi si ferma sulla porta, apre una piccola moleskine nera e inizia a scrivere.
Esce e torna dentro con un bambino che avrà circa 6-7 anni.
Sorridono e si siedono al tavolino.
L’uomo si avvicina e ho modo di poterlo guardare meglio, in realtà è più giovane di quanto sembra, ma ha delle rughe molto marcate che lo invecchiano terribilmente.
“Bello qui. È da tanto che siete aperti?”
“Questo è il secondo anno. Non siete mai venuti?”
“No. Non credo.”
Apre di nuovo il suo quadernetto e scrive un appunto.
Lo richiude e lo mette in tasca.
“Scusa, ma ogni tanto mi scordo le cose”
Mi dice con un velo di imbarazzo.
“Tranquillo, pure io sono un rincoglionito cronico”
Sorrido perchè è la verità; mi dimentico le cose mentre le sto facendo, entro in una stanza tutto convinto e poi mi chiedo perchè sono qui?
Mi giro e non trovo il mio bicchiere dell’acqua, stavo bevendo ma non lo vedo più, chissà dove l’ho poggiato.
“Che ti porto?”
“Mmmm… vorrei… un…”
Si ferma a pensare. Accidenti è una scelta complicata.
Indica la macchina del caffè.
“Un caffè?”
“Si, grazie”
“Va tutto bene?”
Lo vedo impacciato e leggermente sudato, poi si gira a guardare il figlio e si tranquillizza.
“Vedi, in realtà io ho un problema. Soffro di alzhaimer giovanile”
Azz.
“Scusa, ma quanti anni hai?”
“Ne ho 41, ma ci sono casi anche più giovani di me”
Incredibile.
Lo guardo davanti a me, è un uomo normale, un bell’uomo, nel pieno dei suoi anni.
E si sta lentamente dimenticando tutto.
Ho un brivido lungo la schiena, mi giro per non farmi vedere e faccio il caffè.
Ma non trovo l’aggancio per il caffè, dove diavolo l’ho messo?
Mi guardo intorno e anche le tazzine sono sparite.
“L’alzhaimer è come un animale vorace. Ti porta via piano piano tutto quello che hai intorno e non guarda in faccia a nessuno. Come una lumaca che morde una foglia di lattuga, magicamente ti trovi a perdere pezzi di vita che hai vissuto.”
Fa un lungo respiro, lo trattiene dentro sperando di non dimenticare come si respira, e poi butta fuori tutto il suo malessere.
Lentamente le persone intorno a noi scompaiono.
C’era una signora con un largo cappello arancione seduta sul tavolo a destra.
Sparita.
Due uomini stavano bevendo un caffè parlando di lavoro, ognuno col suo pc davanti.
Spariti.
Il biliardino, i tavoli, perfino il bancone iniziano lentamente a sparire.
“La prima volta me ne sono accorto perchè non ho riconosciuto una coppia di amici di mia moglie con cui avevamo cenato pochi giorni prima. Sarà lo stress, mi sono detto. Vedrai che non è niente, mi diceva mia moglie. Poi ho iniziato ad avere problemi con le parole, ricordavo i nomi delle cose ma li sovrapponevo e ogni tanto mi bloccavo anche sulle cose più facili.
Quando mi hanno diagnosticato l’alzhaimer giovanile mi è crollato il mondo addosso. Come se niente avesse più senso. E lo sai perchè? Perchè avevo paura di dimenticare mio figlio.”
Il bar è completamente sparito, non è rimasto più nulla intorno a noi, se non la sua sedia e il tavolino dove c’è il bambino che gioca tranquillo.
“Da una parte lo sapevo, è ereditario e mio padre ce l’ha avuta, ma credevo di essere più forte di lui. Credevo che sarebbe arrivato quando ormai non c’era più bisogno di ricordare niente, e invece mi ha colpito quando meno me lo aspettavo”
Io sono in un lago di lacrime, non riesco a smettere di singhiozzare, come se questa storia avesse colpito qualcosa nel mio profondo.
La paura di dimenticare, di essere dimenticato, di non avere il controllo sui miei ricordi.
Torno a quella panchina, torno ai giorni della scuola, quando avevo l’età del bambino che ho davanti a me.
I miei lavoravano fino a tardi e non riuscivano ad arrivare a prendermi prima degli altri, quindi io uscivo da scuola per ultimo, e l’angoscia di essere stato dimenticato è difficile da abbandonare.
Perchè quando tutti i tuoi amici ti salutano e tu resti l’ultimo, con la maestra che vuole andare via, ti domandi se questa volta verranno oppure no.
E ora a distanza di trenta anni capisco che non ero io quello dimenticato, che non è colpa mia se uscivo per ultimo.
Ma l’uomo davanti a me invece di disperarsi, mi guarda e mi fa un piccolo sorriso.
Non capisco come faccia a sorridere in questo momento, in una situazione di panico totale in cui c’è solo vuoto intorno a noi.
Ma lui mi guarda negli occhi e dice: “Sai come ho fatto a non impazzire?”
E mentre parla, compare di nuovo il tavolo accanto a lui.
Faccio cenno di no con la testa, sinceramente non so come si faccia ad uscire da tutto questo.
“Ci sono riuscito perchè amo quel bambino li”
Indica il figlio seduto e intorno a lui cominciano a tornare gli oggetti.
“Mi sono appellato al mio amore per lui, al fatto di non volerlo dimenticare.”
Torna il bancone del bar, torna la macchina del caffè.
“E se perdo momenti di vita con gli altri, provo a ricordare come sto quando sto con lui”
Torna la donna col cappello arancione e i due che parlano di lavoro.
“Se mi faccio trascinare dallo sconforto, vince lui. Se resto focalizzato, vinciamo noi”
Ogni cosa torna al suo posto e ci ritroviamo uno di fronte all’altro, come se nulla fosse successo, solo le mie lacrime a ricordare quello che è accaduto.
“La memoria è tremenda, a volte ti confonde, a volte ti inganna. A volte invece sparisce semplicemente. Ma una cosa ho imparato. Che ogni giorno è fondamentale, che ogni cosa è unica e che devo vivere ogni istante con mio figlio per poter accumulare più ricordi possibile. Mi scrivo tutto, così posso rileggere le emozioni che mi hanno spinto a fare qualcosa, a scegliere una strada. E quando lui sarà grande potrà leggere la nostra storia dal mio punto di vista, con i miei ricordi scritti”.
L’amore per un figlio è qualcosa di incredibile, supera ogni tipo di barriera, ti fa fare cose che non credevi possibili e ti ancora alla vita come niente al mondo.
L’uomo davanti a me mi saluta, si gira e va verso suo figlio, poi mi guarda e mi chiede il nome; se lo segna sulla agenda e mi saluta.
“Oggi sei stato un bel ricordo. Grazie.”
Sento il bisogno di scrivere, di mettere su carta i pensieri, per non perderli, per non perdermi.
Voglio scrivere di questa giornata incredibile, di questo incontro che non dimenticherò mai o se lo farò lo andrò a rileggere ogni giorno, per non perdermi.
Appena stacco corro da mia figlia, ho bisogno di stringerla talmente forte da imprimerla sulla mia pelle, come un tatuaggio.
Per non dimenticarla.
Per non dimenticarmi.
Tratto dalla storia vera di Alberto, inserita nel libro Bar Papà 2 in uscita a marzo 2020
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