Nostra figlia è nata prematura, di 6 mesi.
Era veramente troppo piccola per farcela, l hanno messa subito in una incubatrice, piena di tubicini più grandi di lei.
Lottava come una piccola leonessa, giorno dopo giono e ora dopo ora, imparando a respirare, a muoversi, a vivere.
E noi, dietro un vetro a guardare la nostra vita muoversi al suo stesso ritmo, senza la possibilità di intervenire.
Non so se vi è mai capitato di essere impotenti davanti al destino.
Quando per la prima volta lho potuta stringere tra le braccia ho sentito la sua forza e la sua fragilità, come una statua di vetro, stupenda e delicata che va protetta dal mondo.
Ci abbiamo creduto, abbiamo sperato, abbiamo sognato una vita “normale”, per quanto questa parola possa essere vera.
Sono passati due anni, due anni fatti di tubicini più piccoli, di medicine ma anche di sorrisi e parole non dette, di sguardi che parlano e di mani che stringono.
Avevamo un contatto diretto noi due, parlavamo con gli occhi, e ci facevamo lunghe chiacchierate, di giorno e di notte, senza mai staccarci.
Un giorno mi ha guardato con quei suoi occhi neri enormi, che contenevano l universo ed è come se mi avesse detto “papà, ma ti piaccio anche così”.
Lho accarezzata e le ho detto che per me era la bambina più bella del mondo.
Ha sorriso, ha chiuso gli occhietti e non li ha più aperti.
Da una parte il dolore, dallaltra il pensiero che ora non debba più soffrire.
Quel dolore mi perseguita da 6 anni, senza sosta. Ma ora ho capito che sono io che non voglio lasciarlo andare, che quel dolore è lunica cosa che mi ricorda mia figlia.
E ora che lho capito, sono pronto a conviverci, sapendo che ci sarà sempre e che io ci sarò sempre per mia figlia.
Ovunque sia.
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