Qualche anno fa, mentre passeggiavo per la Via Panoramica nella mia amata San Lucido, inebriata dalla bellezza della vista dello Scoglio che giocava con l’azzurro del mare, incrociai un vecchio amico d’infanzia.
Questo amico, che citerò con il nome di fantasia di Virgilio, dopo avermi salutato con affetto mi disse che gli avrebbe fatto piacere incontrarci anche nella Capitale qualche volta per un caffè. Durante la chiaccherata si parlò di tutto ed in particolare dei nostri ragazzi e della loro vita scolastica.
Così raccontai della bella esperienza che stavo ancora vivendo, esperienza iniziata per caso tanti anni prima, ossia andare in alcune Scuole Superiori a parlare di reati come il bullismo o simili. Vidi subito la curosità quasi mista ad uno stato di preoccupazione neglio occhi di Virgilio ma, sul momento, non mi disse nulla. Io iniziai a raccontare con entusiamo che circa nel 2001 fui contattata dalla Preside di un Istituto superiore che mi chiese un appuntamento per parlare di un grave problema presente nella
sua scuola. Durante l’incontro con quest’ultima venni a conoscenza che nella scuola si verificavano continue segnalazioni da parte di genitori che lamentavano piccole lesioni subite dai figli a scuola, di offese continue subite sempre dai compagni di classe, di piccoli furti nel bar della scuola e tanto altro.
La preside mi disse che aveva anche istituito uno sportello psicologico per i suoi alunni dal quale emergevano una serie di casi di disagio dei ragazzi provocati da comportamenti offensivi e prepotenti dei compagni di scuola. Dopo un breve periodo di studio, proposi alla Preside un piccolo progetto che scrissi e portai ad
esecuzione con la collaborazione di un collega e della Polizia di Stato. Il progetto consisteva nel portare nelle classi a rischio degli pseudo giochi che avevano come
obiettivo quello di piegare in maniera semplice le conseguenze penali e civili a partire dal compimento dei 14 anni di età. In particolare si parlava di quello che
poi sarebbe diventato famoso come fenomeno del Bullismo e del cyberbullismo e dei reati connessi con qualsiasi dipendenza e dei reati che più si verificavano all’interno delle mura familiari. Le ore in classe erano prevalentementre fatte da simulazioni dei casi trattati dove gli stessi alunni improvvisavano scene, che ad esempio, potevano essere la rappresentazione di un caso grave di bullismo. Sempre a loro poi facevo inscenare una giornata in tribunale per i minorenni dove loro stessi impersonavano il Giudice, il Pubblico Ministero, l’imputato minorenne e l’avvocato.
Proprio in quelle bellissime giornate di lavoro potevo osservare le numerose facce incredule degli alunni nel momento in cui si rendevano conto delle responsabilità delle loro azioni a rilevanza penale per loro stessi e per i loro genitori. Ho poi ripreso questo progetto dopo alcuni anni nell’ambito di un lavoro di “educazione alla legalità” anche con i colleghi del Movimento Forense sezione romana, progetto che ancora oggi è presente gratuitamente in diverse scuole di Roma. Ma voglio
tornare al caso di Virgilio. Qualche settimana dopo il mio incontro con Virgilio ricevo la telefonata da quest’ultimo che, con tono disperato, mi dice che ha bisogno di incontrarmi in studio. L’indomani Virgilio mi porta un atto notificatogli dal Tribunale per i Minorenni di Roma all’interno del quale il figlio risulta imputato del reato di minaccia, diffamazione e lesione realizzato a danno di altra minore attraverso l’uso del telefonino.
Per prima cosa convoco anche la moglie di Virgilio ed insieme a loro vedo il ragazzo imputato. Dal racconto emerge che il ragazzo, insieme ad altri tre amici, aveva creato alcune chat e profili falsi sui social all’interno dei quali si divertivano a prendere in giro ed ad offendere una loro compagna di classe. In un primo momento i messaggi erano rimasti tra i ragazzi della chat, poi i messaggi furono condivisi con altri ragazzi e regolarmente inviati alla loro compagna vittima di offese e di minacce. Questi comportamenti erano emersi attraverso una denuncia della mamma della ragazza che prima aveva avvisato la preside della scuola e poi i carabineri. Nei mesi precedenti alla denuncia la ragazza stava male, ma non riusciva a parlare con nessuno del suo malore. Mentre il figlio di Virgilio mi raccontava come erano andati i fatti oggetto della denuncia, io ricordavo alcune delle situazioni messe in scena nelle varie scuole dove facevo prevenzione ai reati come questo.
Spiegavo bene alla famiglia di Virgilio ed al loro ragazzo le possibili conseguenze penali del suo comportamento, le possibili conseguenze civili in capo alla famiglia e le diverse possibilità di risoluzione del processo in sede minorile. Il processo è finito con l’assoluzione del figlio di Virgilio per perdono giudiziale e per conclusione della messa alla prova per altri due ai quali veniva riconosciuta una responsabilità maggiore nella realizzazione dei fatti di reato. La chiusura del processo ha portato, altresì, una lezione pesante per tutti i ragazzi coinvolti. Alcuni di loro oggi scrivono per un giornale della loro esperienza con il cyberbullismo.
Ricordo sinteticamente che il cyberbullismo o bullismo online si realizza tramite l’attacco reiterato, di contenuto offensivo e denigratorio, da parte di un minore nei confronti di un altro, attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla rete, come le chat, i social network e le e-mail. Nel cyberbullismo spesso è difficile risalire
all’autore e fermarlo considerato che l’aggressore può colpire la propria vittima a distanza e quindi senza un contatto “fisico”; in qualunque momento della giornata; l’autore di cyberbullismo non ha freni inibitori vista la mancanza di un rapporto diretto con la vittima.
Le conseguenze del cyberbullismo sono spesso gravi o gravissime e sono identificabili con l’isolamento, la depressione del minore ed, in alcuni casi più estremi, si può arrivare anche al suicidio.
L’importante in questi casi è parlarne sempre con qualcuno che possa aiutare sia la vittima che il suo aggressore in tutti gli ambiti.
Avvocato Maria Rosaria Bruno
Leave A Comment