Papà con anima e coraggio

Amici di Barpapà,
condivido con voi l’uscita di mio figlio dal reparto di terapia intensiva neonatale (TIN), N., nato 23 giorni fa all’ospedale materno infantile di Ancona e lì rimasto appunto 23 lunghi giorni.
Condivido con voi la storia di questi giorni, sofferta ma edificante di quella che è stata sicuramente una prova che, a me e mia moglie, ha in qualche modo anche educato al nostro nuovo ruolo. Con la viva speranza inoltre, che questo mio intervento possa aiutare a sentirsi meno soli dei genitori che si trovano o possano trovarsi in una situazione simile.
N. è arrivato di sorpresa, il test di gravidanza ci ha confermato la sua comparsa a Marzo di quest’anno, a Settembre, inoltre, io e la mamma avevamo programmato le nostre nozze. Si è fatto sentire subito il furfante: il giorno di S. Valentino,  avevamo avuto una visita da un ginecologo per una visita in preparazione di una futura gravidanza che sarebbe stata programmata dopo il matrimonio. Avevamo fatto questa visita per monitorare un piccolo fibroma che la mia compagna aveva. Risultato il dottore ci fece andare via con una bella dose d’ansia: il fibroma avrebbe potuto nell’ipotesi peggiore causare un aborto con un feto di 500 grammi. Quindi siamo usciti, dicevo, un po’ scoraggiati, intenti nel programmare l’intervento prima possibile per poi poter provare ad avere un bimbo in serenità. E invece, successivamente avremmo saputo che, già durante quella visita di S. Valentino, l’embrione di N. si stava impiantando nell’utero della mamma.
E la gravidanza non ha avuto alcun intoppo, col fibroma che si è andato a spiattellare in alto  in fondo senza rompere.
Pieni di gioia ci siamo goduti quindi i 9 mesi. Mia moglie finiva il tempo il 28 ottobre.
A fine settembre, durante l’ultima visita ginecologica prima del parto ci hanno detto che il bambino era podalico e che se non si fosse girato in un paio di settimane avremmo dovuto tentare una “manovra di rivolgimento” e che se non fosse riuscita saremo andati incontro a un taglio cesareo. So quanto la mia dolce metà ci tenesse al parto naturale, abbiamo quindi passato due settimane un po’ in ansia per poi scoprire durante un’altra ecografia che il furfante si era messo in posizione per uscire di testa. Evviva!
Il 26 ottobre la mamma rompe le acque e andiamo in Ancona, ci siamo fatti 80 km per raggiungere il nostro capoluogo di regione. Non ricordo il tragitto, ricordo solo l’estrema concentrazione che avevo nel guardare lo specchietto retrovisore per guardare mia moglie seduta dietro. Forse lì, realmente, cominci a renderti conto che sta cambiando qualcosa nella tua vita.
 Passa tutto il 26 in ospedale, il 27 e finalmente la notte tra il 27 e il 28, precisamente il 28 alle 0.29 N. viene al mondo. L’esperienza del parto è quanto di più sconvolgente fin’ora provato: un misto tra l’incubo e il più bel sogno. Ricordo la pena infinita nel vedere il viso di mia moglie provato dalla fatica e dal dolore, il senso di impotenza forte e il pianto liberatore quando ho sentito piangere mio figlio.
Uscito dalla sala parto, consegnato il primo vestitino alle infermiere, ho baciato mia moglie e sono corso fuori a fumare una sigaretta. Che doveva essere l’ultima ma che gli imprevisti delle ultime settimane hanno fatto sì che io non abbia potuto rispettare la parola.
Mi sono poi fatto la terza notte in ospedale, a fianco dei miei gioielli. Ho anche dormito qualche ora, sfinito. Il giorno dopo sono rientrato a casa e ho dormito tutta la mattinata, sonno arretrato ne era troppo.
La notte dopo,  il bambino non stava bene, sembrava respirare male e alle 4 di notte, quando già la sera prima pregustavi il ritorno a casa, una dottoressa dall’aria saccente, che ho odiato a morte in quel momento, ci comunica che il nostro sogno si attestava, il bambino andava ricoverato in terapia intensiva. Dovevamo prepararci a una degenza abbastanza lunga, all’inizio ci dissero 10 giorni per poi aumentare di settimana all’altra. Quella notte mia moglie pianse, io mi mordeva la lingua per non andarle dietro e farmi forza. Eravamo a terra, anche perchè quando si varca quella porta grigia te ne passano mille di pensieri per la testa e non sono propriamente bei pensieri. Sorreggevo la testa di mia moglie e “con lo sputo” tenevo su anche la mia, quando alle 4 e 30 arriva davanti al reparto la mamma di due bambini nati prematuri, tutti e due ricoverati in TIN. Bè questa donna, quella notte, è stato un vero e proprio angelo. Lei che era arrivata così presto, e da circa un mese, vegetava in quel reparto, di lì a poche ore avrebbe dovuto affrontare l’operazione di suo figlio, uno dei due, che lottava per la vita. Lei ci ha fatto forza, lì mi sono vergognato, mia moglie si è asciugata le lacrime, ci siamo fatti forza. Da quella notte sono passate altre 20 notti circa, 22 notti totali in ospedale, 23 lunghi giorni, tra pasti consumati velocemente, tiralatte ogni due ore e il mio lavoro, sono un libero professionista, per forza di cose messo in pausa. Perchè un figlio è più importante di ogni cosa.
Ci siamo spessi morsi anche la lingua, eruditi come pensavamo di essere su tutte le interferenze da cui i corsi preparto ti mettono in guardia: no al ciuccio, no acqua e zucchero, solo seno, no biberon. Ma lì ti rendi conto che “in un inferno dove lavorano gli angeli” (te la frego ER), tutte queste buone indicazioni purtroppo non possono sempre coesistere col lavoro delle infermiere e dei medici. E gli estremi, come al solito non vanno mai bene. Oggi, finalmente ci dimettono, noi lasciamo questo odore di disinfettante e caloriferi invecchiati, ce ne andiamo a casa!
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By |2020-11-27T20:23:14+01:00Novembre 25th, 2019|Blog, storie di papà|0 Comments

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