Quando lo vidi, capii che doveva essere mio.
Distrutto, sgangerato, senza senso.
Perfetto.
Mio.
Quel posto, come diceva mia madre, emanava una energia positiva.
Quando andai a prendere le chiavi, lei era con me.
Mi fermò prima di entrare, annusò l’aria e disse:
“Si, mi piace. Puoi prenderlo”
“Mamma, guarda che ho già le chiavi, significa che ho firmato il contratto”
“Si, ma l’energia non ha i tempi che hai tu. L’energia c’è. E qui è anche forte. Aspetta, ho un regalo per te”
Aprì la sua tolfa di pelle dove teneva mille cose di cui fare tranquillamente a meno.
Tirò fuori un bastoncino di legno.
“Che bello mamma, non dovevi. Ora lo lanci e te lo riporto?”
“Che figlio cretino.”
Mi diede un bacio in fronte ridendo.
Accese il bastoncino da un lato, uscì subito un fumo bianco e denso.
“Si chiama palo santo. Serve a purificare l’aria.”
Me lo passò intorno alla testa più volte, poi sul petto e sulla pancia.
“Grazie, ora sembro un cero pasquale”
“Lascia perdere, mi ringrazierai per questo. Entriamo.”
Dentro, lo scheletro di un vecchio bar era sommerso da strati di polvere e guano, talmente tanto compatti da far pensare che il bancone fosse fatto di polvere e guano e non di legno.
Sedie e tavoli erano accatastati da un lato, bicchieri e tovaglie dall’altro.
Un grosso telo copriva un angolo della stanza.
Sotto c’era un tavolo con una scacchiera e una partita ferma chissà quanto tempo prima.
Era perfetto.
Ma soprattutto era mio.
All’inizio era un semplice bar.
E come tanti bar faceva le cose semplici.
Caffè. Cornetto. Acqua.
Poi ci furono i primi cambiamenti.
Cappuccino di soia. Cornetto vegano. Acqua distillata.
Infine il declino.
Le persone non si fermano più al bar, non chiacchierano di sport o di politica, ma prendono solo il caffè e se ne vanno.
A volte addirittura fanno prima a prendere il caffè al distributore automatico in ufficio, senza scendere le scale, così sono più efficienti.
E una volta usciti, si va all’aperitivo, all’apericena, all’aperisonno.
In pratica gli affari stentavano a salire e il morale continuava a scendere.
L’unico modo universale per sopravvivere ad un fallimento è quello di bere con gli amici di una vita.
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